La tipologia di interventi che più di tutte permette di minimizzare il consumo energetico degli edifici è quella che consiste nel migliorare l’involucro esterno, al fine di ridurre le dispersioni termiche.
L’involucro edilizio è definito come l’insieme delle superfici “disperdenti”, ossia tutte quelle “pareti” che separano l’ambiente interno riscaldato da un ambiente esterno, o da un altro ambiente interno non riscaldato. Qui il termine “pareti” è generico e identifica sia le superfici verticali, sia quelle orizzontali o inclinate, siano esse opache o trasparenti). Le strutture disperdenti sono perciò costituite da: pareti verticali esterne, pareti interne verso ambienti non riscaldati, infissi e serramenti, solai di copertura (falde inclinate, tetti piani, solai verso sottotetti o intercapedini non riscaldate), pavimenti verso terra, verso l’esterno, o verso ambienti freddi sottostanti.
Il miglioramento energetico di tali strutture avviene mediante interventi di sostituzione o coibentazione, che permettono di ridurre la “trasmittanza termica” del singolo elemento.
La trasmittanza termica U è una caratteristica propria del singolo elemento disperdente e ne caratterizza le dispersioni termiche, in quanto di fatto rappresenta la dispersione termica per unità di superficie e di differenza di temperatura. Si misura in W/mq°K , perciò per conoscere la dispersione termica (in W) di una data struttura è sufficiente moltiplicare la trasmittanza per la superficie (in mq) e per la differenza di temperatura tra le due facce (in °C o °K).
La trasmittanza termica è un dato relativo a una parete nel suo complesso, e dipende dai materiali di cui è composta, dalla loro stratigrafia e dagli spessori. Il calcolo della trasmittanza di una parete parte dalla conoscenza delle caratteristiche dei singoli materiali che la costituiscono, in particolare dalla loro “conducibilità” (lambda) e dal loro spessore. Senza entrare nel merito del calcolo, in generale si ha che dato un materiale che compone la parete, minore è la sua conducibilità “lambda”, minore sarà la capacità di trasmettere il calore, e per tanto minore sarà la trasmittanza U della parete composta da quel materiale, o che è lo stesso, minore sarà lo spessore da adottare per quel materiale allo scopo di raggiungere una data trasmittanza.
Si chiarisce di seguito con un esempio, relativo a una parete verticale esterna. Nella prima immagine si vede la parete composta da una muratura in laterizio pieno da 30cm di spessore intonacata su entrambi i lati (tipica parete esistente di un edificio in muratura portante costruito fino al 1960-70). Nell’immagine successiva, la stessa parete a cui viene aggiunta una coibentazione esterna “a cappotto” composta ad esempio da uno strato di polistirene da 10cm e relativa finitura con intonaco.
In entrambi i casi vengono adottate temperature “di progetto” pari a +20°C all’interno e -5°C all’esterno.
Nel primo caso, parete priva di coibentazione, U vale 1,8 W/mqK, per tanto a queste condizioni di temperatura un metro quadro di parete disperde 45 W di potenza termica (calore dissipato dall’interno all’esterno).
Nel secondo caso (coibentazione a cappotto da 10 cm con finitura di intonaco esterno), la trasmittanza U vale 0,29 W/mqK, per tanto la dispersione termica di 1 metro quadro di parete si riduce a poco più di 7 W, pari a 1/6 del valore iniziale. Non a caso la trasmittanza termica della parete non coibentata è appunto 6 volte quella della medesima parete coibentata.
Si noti che il valore “lambda” del polistirene è molto più piccolo di quello della muratura, di circa 24 volte, il che significa che 1cm di polistirene equivale, dal punto di vista termico a 24cm di muratura. In questo caso lo spessore della parete è aumentato di “soli” 10 cm, ottenendo però una grandissima riduzione delle dispersioni (circa l’84%): se avessimo semplicemente aggiunto 10cm di muratura la trasmittanza si sarebbe ridotta soltanto del 16%.
Un discorso simile, con valori analoghi di trasmittanza, è possibile fare ad esempio con le coperture esterne (tetti piani o a falde inclinate), in cui generalmente la struttura non coibentata ha una trasmittanza di oltre 6 volte quella della medesima struttura che viene coibentata. Esempio tipico: tetto in laterocemento composto da solaio in laterocemento da 16+4, guaina e coppi, U vale 1,6 W/mqK. A seguito del rifacimento del manto di copertura si inserisce sopra la soletta una lastra di 10-12cm di materiale isolante (polistirene, lana di roccia o fibre di legno), ricoperta poi con guaina e coppi, ottenendo valori di U di circa 0,24 W/mqK.
Lo stesso vale per gli infissi esterni, anche se questi non vanno visti come superfici omogenee, essendo formati da un telaio perimetrale avente una parte fissa e una mobile, e da una superficie vetrata trasparente che viene fissata al telaio. In questo caso si prende sempre in considerazione un valore di trasmittanza U che però è riferito al valore “complessivo” di vetro+telaio, e di fatto rappresenta una valore “medio”. Come materiali costituenti il telaio si utilizzano legno, metallo (solitamente alluminio, oggi anche del tipo a taglio termico), oppure PVC. Per la superficie trasparente si è passati dalla lastra di vetro singolo, alla vetrocamera con doppio vetro tipo “Termopan”, alle attuali vetrocamere bassoemissive con vetro doppio o triplo riempite con gas argon.
Il miglioramento energetico degli infissi avviene mediante la loro sostituzione completa (vetro+telaio) o parziale (solo vetro adattandosi al telaio esistente).
I valori di trasmittanza degli infissi sono generalmente più alti di quelli delle strutture opache. Per i serramenti di vecchio tipo (esempio finestre in alluminio o legno con vetro singolo, che erano “la regola” fino ai primi anni 80), si avevano trasmittanze anche superiori a 5 W/mq°K, oggi i moderni infissi in PVC a vetri bassoemissivi permettono di raggiungere trasmittanze inferiori a 1,1 W/mq°K.
Per gli infissi si ha anche un importante contributo di dispersione termica dovuto alla loro permeabilità all’aria: i vecchi infissi avevano una scarsa tenuta all’aria, ciò comportava un certo flusso di aria che veniva scambiato tra l’interno e l’esterno attraverso gli spifferi (tra telaio e muratura o tra telaio e vetro), quindi anche se questo da un lato garantiva un certo “ricambio di aria”, dall’altro costituiva una notevole dispersione termica (il ricambio di aria comporta infatti l’uscita di una certa quantità di aria calda ambiente e il conseguente ingresso di fredda, cioè un flusso “netto” di calore per ventilazione diretto verso l’esterno. Oggi i moderni infissi, oltre a ridurre le dispersioni per trasmissione (data la minor trasmittanza) hanno anche una buona tenuta all’aria, attraverso una o più serie di guarnizioni, che sigillano gli spifferi e riducono fino quasi a zero lo scambio per ventilazione.
A questo proposito occorre fare un’osservazione molto importante e troppo spesso sottovalutata: l’nstallazione di nuovi infissi, negli edifici di nuova costruzione ma soprattutto in quelli esistenti (dove il resto dell’involucro non viene coibentato) richiede una maggiore attenzione proprio sulla ventilazione dei locali, che non è più “garantita” dal ricambio accidentale dato dalla presenza degli spifferi, per tanto se non si procede a ventilare regolarmente i locali, o ad adottare idonei sistemi di ventilazione meccanica controllata, si rischia di avere un aumento eccessivo dell’umidità interna (normalmente prodotta dalle attività quotidiane e dalla presenza di persone) che alla lunga può raggiungere la saturazione e formare così condensa sulle superfici interne più fredde (muri esposti a nord, pareti, spigoli, ponti termici, ecc…) con conseguente formazione di muffe, o comunque una situazione ambientale poco salubre.